

METODOLOGIA BIBLICA
Per un corretto modo di approccio al discernimento critico, qui di seguito,
riportiamo una sintesi dei criteri metodologici seguiti nei lavori del Diacono
Lorenzo Ventrudo
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Dilettanti al governo, evoluzione totalitaria,
irrilevanza pubblica della Chiesa
Intervista all’avvocato Gianfranco Amato - di Samuele Cecotti
La crisi sanitaria connessa alla pandemia da COVID-19 ha generato processi
economici e politici su scala planetaria tali da delineare un quadro nuovo e
preoccupante lasciando già ora intravvedere una fortissima recessione economica
globale e gravi indizi di un incipiente totalitarismo post-moderno. Le questioni
che una simile crisi di civiltà pone sono molteplici non ultime di carattere
giuridico, bioetico e religioso.
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Gianfranco Amato, giurista, fondatore e
presidente nazionale dei Giuristi per la Vita, intellettuale cattolico attivo su
molti fronti dell’apostolato culturale
Avvocato, in questi mesi di emergenza sanitaria proclamata dal governo italiano
a fine gennaio, abbiamo assistito, in una prima fase, ad una sottovalutazione
del problema (ricordiamo tutti gli hashtag #milanononsiferma e #abbracciauncinese
con relativi aperitivi sui navigli) da parte degli stessi esponenti di
maggioranza per poi, in una seconda fase, precipitare il Paese in una sorta di
“arresti domiciliari” universali stabiliti per dpcm. Si conosce ora l’esistenza
d’un Piano elaborato al Ministero della Salute già a gennaio ma tenuto segreto …
Ci aiuta a trovare una chiave di lettura per un simile procedere del governo
italiano? Vede la possibilità per azioni legali contro l’operato del presidente
Conte e del governo?
L’unica chiave di lettura possibile è quella che ci offre la drammatica immagine
di un governo caratterizzato da un irresponsabile, dissennato, incosciente
dilettantismo. Per nostra sfortuna l’emergenza pandemica del Covid-19 è giunta
nel momento storico in cui l’Italia ha registrato il livello politico-culturale
più basso della propria classe dirigente negli ultimi settant’anni. Non si è mai
visto nulla di simile dal dopoguerra ad oggi.
Le sorti del nostro Paese in uno dei momenti più drammatici della sua storia
dopo la Seconda Guerra Mondiale sono, infatti, affidate alla cosiddetta “cabina
di regia” della crisi pandemica. In cabina troviamo a dirigere un oscuro
avvocato di provincia, tale Giuseppe Conte, che ha l’onore di non rappresentare
nessuno, non avendo – a quanto risulta – mai ottenuto un voto in vita sua, e che
pare non aver mai amministrato nulla prima d’ora, neppure il condominio del
palazzo in cui vive. Segue il fido ed onnipresente portavoce ufficiale, Rocco
Casalino, che annovera tra i propri titoli quello di aver partecipato al
programma televisivo di dubbio gusto noto come “Grande Fratello”. Non proprio un
master ad Harvard o ad Oxford. Lo affianca, sempre in cabina, il ministro degli
Esteri, Luigi Di Maio, che proviene dal mondo dello sport: è stato infatti
steward presso lo stadio San Paolo di Napoli. In italiano la definizione è
“assistente di stadio”, una professione di tutto rispetto che si estrinseca in
varie attività come, ad esempio, il presidio dei varchi di accesso, il
filtraggio della tifoseria, la verifica del biglietto, l’accompagnamento al
posto assegnato. Nella stessa cabina abbiamo anche un giovane ministro della
salute, Roberto Speranza, laureato in Scienze Politiche, che sta alla medicina
come un chirurgo sta alla letteratura sanscrita, e che non siamo proprio certi
sappia cogliere a colpo d’occhio la differenza tra un batterio e un virus. C’è
spazio, infine, per l’ultimo componente della cabina: il responsabile della
Protezione Civile, il quale, per meriti di competenza, non poteva che essere un
commercialista e revisore dei conti. Stiamo parlando del dott. Angelo Borrelli.
Con tutto il rispetto dovuto, a me pare che la competenza del dott. Borrelli in
materia di emergenza pandemica sia pari a quella del sottoscritto nel progettare
un ponte. Ossia pari a zero. Qualcuno potrebbe obiettare che un Paese non deve
necessariamente essere governato da tecnici. Questo è vero, però nel caso
eccezionale di una pandemia mondiale forse a gestire l’emergenza sarebbe più
opportuno mettere qualcuno che almeno mastichi la materia, o quanto meno che
abbia esperienza politica, nel senso aristotelico della πολιτική τέχνη, ovvero
della scienza e dell’arte del governare. Il punto è che nessuno dei soggetti
attualmente al governo pare avere il benché minimo senso del concetto di “bene
comune”. Il rischio è che una politica incapace di governare abdichi
completamente, cedendo lo scettro del comando alla scienza. In un momento in cui
la stessa scienza, rispetto ad una sconosciuta pandemia, pare brancolare nel
buio. L’unica certezza che sanno darci i virologhi sulla questione è che non ci
sono certezze. Così la gestione del bene comune viene fondata sulle sabbie
mobili.
Più che azioni legali contro il presidente del Consiglio e la sua “cabina di
regia”, – per le quali credo sussistano comunque tutti gli estremi (Cfr.
http://www.telemaria.it/denuncia.giuseppeconte.pdf) – io vedo l’assoluta
necessità di togliere il prima possibile dalle mani di questi dubbi personaggi
il destino della nostra Patria.
(... omissis...)
Le norme imposte dall’autorità di governo hanno violato molte libertà
fondamentali garantite costituzionalmente ma, cosa ancor più grave, hanno
violato la libertas Ecclesiae, diritto originario della Chiesa pattiziamente
riconosciuto dallo Stato italiano con un Accordo di diritto internazionale,
attribuendo ad atti amministrativi il potere di decidere la sospensione delle
cerimonie religiose (battesimi, cresime, matrimoni, funerali), di impedire la
partecipazione del popolo alle Sante Messe, di interdire la visita dei Sacerdoti
ai morenti per amministrare loro i Sacramenti, di impedire ai ministri del Culto
Cattolico la libera circolazione per l’esercizio del proprio ministero di
predicazione e santificazione.
Come giudicare, in termini di diritto, una simile violenza inferta al diritto
della Chiesa?
Non vi è il minimo dubbio che si sia integrata una palese e gravissima
violazione del Concordato. A sostenerlo sono state, tra le tante, anche le voci
autorevolissime di due Presidenti emeriti della Corte costituzionale: Cesare
Mirabelli e Annibale Marini. Siamo giunti anche al punto surreale in cui lo
Stato si è arrogato il diritto di decidere quali celebrazioni si potessero
tenere e quali no. Un’aberrazione dal punto di vista giuridico. L’art. 7 della
Costituzione è chiarissimo: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel
proprio ordine, indipendenti e sovrani». Il punto, semmai, è un altro. Occorre
capire se la Chiesa cattolica intende rivendicare la propria indipendenza e
sovranità, oppure se intende far cessare gli effetti del Concordato per
desuetudine. Certo non aiutano alcuni atteggiamenti ondivaghi. Non è stato uno
spettacolo edificante, per esempio, quello dei vescovi della Sardegna che si
sono ricordati di rivendicare la propria competenza in materia spirituale quando
hanno contestato il Presidente di quella Regione, Christian Solinas, per aver
autorizzato con una propria ordinanza la celebrazione delle Messe, mentre sono
stati totalmente silenti quando il governo ha deciso di sospendere ogni attività
di culto. Un simile atteggiamento da parte dei presuli sardi non può che indurre
nei fedeli confusione, disorientamento e sconcerto.
(... omissis...)
Impressiona la irrilevanza pubblica della Chiesa e del Culto a Dio palesemente
manifestatasi nella gestione della crisi. Impressiona uno Stato italiano che
equipara le chiese alle discoteche e la Santa Messa ad un qualunque spettacolo
teatrale. Ma impressiona ancor di più una Chiesa che tace innanzi a ciò. È,
secondo lei, il segno della affermazione ormai pienamente avvenuta del
secolarismo?
Da una parte abbiamo avuto uno Stato che si è dimenticato del fatto che quello
di culto è un diritto costituzionalmente protetto e non comprimibile, mentre non
esiste un diritto allo stadio o un diritto al teatro. È inaccettabile
culturalmente e inammissibile giuridicamente l’idea che la celebrazione della
Messa venga equiparata a qualunque evento di aggregazione sociale, come una
lezione scolastica, uno spettacolo artistico o una partita di calcio.
Dall’altra parte abbiamo visto una Chiesa inspiegabilmente remissiva e
silenziosa. Penso che questo rappresenti un problema. Una Chiesa che non riesce
più a rivendicare in maniera ferma e autorevole le prerogative ed i diritti
derivanti dal suo particolarissimo status e che non sa più opporre a Cesare la
“Libertas Ecclesiae” è una Chiesa caratterizzata da un altissimo tasso di
secolarismo. Ha fatto oggettivamente impressione il cedimento immediato della
Chiesa italiana alle disposizioni impartite dal governo, soprattutto nella prima
fase dell’epidemia, quando cioè molti esercizi pubblici come bar, pizzerie, pub
e ristoranti erano aperti.
Ma una Chiesa che tace rischia di veder realizzata la profezia evangelica delle
pietre che parlano (Lc. 19, 40). Non ci si deve, quindi, meravigliare se alcuni
personaggi del mondo della politica o dello spettacolo dicono cose che vorremmo
sentire in bocca ai Pastori. Sono le pietre che parlano al loro posto.
Mentre molti nostri concittadini morivano nelle terapie intensive e a molti
malati erano procrastinate le cure causa emergenza COVID-19, il Servizio
Sanitario Nazionale continuava ad erogare il “servizio” dell’Ivg (l’aborto
procurato garantito dallo Stato a carico del Servizio Sanitario Nazionale).
Neppure la pandemia ha interrotto la strage dei bambini non nati. Anzi abbiamo
assistito ad una intensa campagna di propaganda per promuovere l’aborto chimico
domiciliare. Solo poche voci dei soliti coraggiosi pro-life si sono levate in
difesa della vita. Ci siamo abituati anche alla normalità dell’aborto? Anche noi
cattolici?
C’è un che di irrazionale, e quindi di preternaturale, in questo accanimento in
favore dell’aborto. Non ha molto senso sottrarre un medico dal suo compito
naturale di salvare la vita di un malato di Covid-19, per destinarlo a
sopprimere una vita attraverso l’aborto. Non riesco a non vedere una dimensione
spirituale dietro tutto ciò. In realtà, l’aborto, più dell’omicidio, è un
attacco allo stesso concetto di Creazione e di Incarnazione. In questo senso
l’aborto può esser considerato atto diabolico per antonomasia. Disumanizzare
l’umanità è da sempre l’obiettivo del Nemico dell’uomo, perché un’umanità
disumanizzata finisce per auto-divorarsi.
Del tutto incomprensibile, e quindi preternaturale, è anche il fatto che in
Italia quella sull’aborto sia l’unica legge (194/78) che da quarant’anni non sia
stata modificata neppure di una virgola. È un vero e proprio totem ideologico
intoccabile. E dire che l’ordinamento giuridico italiano è uno dei più volubili
al mondo dal punto di vista normativo. Le leggi vengono modificate con una
velocità ed una frequenza da record. La Legge 194, invece, sembra scolpita nel
marmo. Non è normale. Il punto è che l’opinione pubblica italiana si sta
abituando a questa anormalità. La tragedia, però, sta nel mondo cattolico, dove
ormai pare del tutto scomparsa l’idea che il Magistero consideri l’aborto un «crimen
nefandum» (GS n.51), ossia un delitto abominevole. Oramai si sente sempre più
spesso anche tra i cosiddetti praticanti il teorema che fu alla base della
sconfitta del referendum: «Io non praticherò mai l’aborto, ma non posso impedire
agli altri la libertà di farlo». Come dire, io non posso uccidere ma non posso
impedire agli altri la libertà di uccidere. In questo teorema – che pesa come un
macigno nella coscienza cattolica del nostro Paese – si nasconde, però, la
celebre risposta di Caino: «Num custos fratris mei sum ego?» (Gn 4, 9). Un
cristiano non può girare la testa da un’altra parte quando viene sparso il
sangue innocente di suo fratello.
L’emergenza sanitaria ha fatto pure emergere pulsioni eutanasiche preoccupanti.
L’idea di non curare certe categorie (anziani, handicappati, malati
psichiatrici, etc.) è entrata nel dibattito e in molte parti della civile Europa
si è fatta legislazione. Come vede la situazione in Italia?
In quella che un tempo si chiamava Cristianità, e oggi viene definita “Europa”,
è ormai da decenni che imperversa la cultura della morte. Oggi la pandemia ha
avuto il merito di togliere definitivamente la maschera dell’ipocrisia e
legittimare pubblicamente la necessità di questo nuovo “darwinismo sociale”.
Nell’opinione pubblica sta sempre più prevalendo la logica dello scarto anche
nei confronti degli esseri umani più deboli e fragili, come i disabili, gli
anziani, i nascituri difettosi. Sempre più persone si stanno convincendo che, in
fondo, è giusto per il bene di tutti eliminare pesi inutili da una società che
ha sempre meno risorse da spendere.
Sono anni che denuncio come anche in Italia questa idea stia penetrando nella
mentalità comune attraverso il processo della cosiddetta Finestra di Overton. È
un vero e proprio piano inclinato che porta inesorabilmente verso l’abisso.
Quello che gli inglesi chiamano “slippery slope”. Del resto, se i criteri per
riconoscere la dignità di un essere umano non sono oggettivamente ancorati al
diritto naturale, essi vengono posti e determinati dal potere attraverso norme
di diritto positivo. E il potere è in grado di cambiare questi criteri a seconda
della propria convenienza. Può avvenire anche democraticamente, attraverso il
gioco delle maggioranze parlamentari. Ma i cristiani, che non riconoscono il
principio democratico come assoluto, sanno bene che non può essere la
maggioranza parlamentare di un determinato periodo storico a determinare ciò che
è bene e ciò che è male, ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è giusto da
ciò che è ingiusto. Quand’anche il parlamento italiano – Dio non voglia –
dovesse arrivare ad approvare una legge sull’eutanasia, questa barbara pratica
resterebbe comunque un crimen nefandum.
Le misure adottate per gestire l’emergenza sanitaria, non solo violano
gravemente libertà fondamentali, ma gettano una luce sinistra sul futuro
lasciando immaginare una possibile evoluzione totalitaria della nostra società.
Un totalitarismo post-moderno fatto di app per il tracciamento, telecamere per
il riconoscimento facciale, microchip sottocutanei con tutti i nostri dati
personali, abolizione del contante, tracciamento di ogni nostro acquisto,
geolocalizzazione di ogni nostro movimento. La fine della privacy e della
libertà a favore di un complesso sistema centralizzato di gestione della
collettività. Quanto siamo vicini a questo rischio? Cosa fare come cattolici per
scongiurarlo?
Mi pare si stia concretamente profilando uno scenario che ricorda i romanzi di
fantascienza distopica della metà del secolo scorso. Ascoltando alcune proposte
che vengono seriamente prospettate, anche a livello istituzionale, sembra di
rivivere davvero le pagine di George Orwell, di Aldous Huxley, di Isaac Asimov.
Mi pare, in particolare, che sia proprio la deriva totalitaria
tecnico-scientifica paventata da Huxley nel suo Mondo Nuovo, quella più vicina
al rischio che stiamo correndo. Del resto, fu proprio quello scrittore inglese a
paventare il fatto che il Potere nel futuro non si sarebbe più basato sulla
violenza dei campi di concentramento ma su controllo tecnico-scientifico degli
individui, spacciato come utile progresso per il bene dell’umanità, al punto da
venire accettato da tutti. Il mondo, secondo Huxley, si sarebbe così trasformato
in un gigantesco campo di prigionia dove, però, i prigionieri non avrebbero
voluto evadere semplicemente perché ignari del fatto di essere prigionieri. Lo
ha spiegato bene nella sua ultima conferenza tenuta il 20 marzo 1962 presso
l’Università della California, Berkeley, intitolata La rivoluzione definitiva.
In quell’occasione, infatti, affermò: «Penso che nella misura in cui le
dittature diventeranno più scientifiche, più preoccupate della perfezione
tecnica, del funzionamento perfetto della società, saranno sempre più
interessate alle tecniche che io ho immaginato e descritto come realtà esistenti
nel Nuovo Mondo. Mi pare, quindi, che la rivoluzione definitiva non sia poi così
lontana, visto che già oggi esiste un notevole numero di questo tipo di tecniche
di controllo degli esseri umani. Resta solo da vedere quando, dove e da chi
saranno applicate per la prima volta su grande scala». Questo Huxley lo diceva
sessant’anni fa. Oggi noi sappiamo perfettamente dove e chi vuole applicare
quelle tecniche su grande scala.
Il Signore della storia è il Risorto, Cristo ha già vinto! Con questa fede noi
possiamo guardare ad ogni momentanea parentesi anticristica della storia senza
disperazione e anzi trovando la ragione per non desistere dalla buona battaglia.
Anche in questi tempi bui non mancano segni di speranza: famiglie che si
costituiscono e vivono secondo il Vangelo, cattolici militanti che spendono la
propria vita per testimoniare pubblicamente la Verità, piccole comunità che si
organizzano per vivere cristianamente in un mondo post-cristiano, il numero
sempre crescente di scuole parentali cattoliche, giovani mamme che scelgono
d’esser casalinghe per amore del marito e dei figli e si dedicano all’homeschooling,
ecc… Volendo pensare a una “resistenza cattolica” allo strisciante totalitarismo
post-moderno come la immagina?
Bisogna ipotizzare tre scenari.
Il primo è quello di un vero e proprio cataclisma a livello economico, politico
e sociale. È il più apocalittico dei tre e richiamerebbe quello che è accaduto
alla fine dell’impero romano, quando una civiltà oramai in pieno declino e al
culmine della parabola discendente è implosa sotto il peso di una gravissima e
irreversibile crisi economica, politica e sociale. In questo caso i cristiani,
esattamente come nel VI secolo dopo Cristo, dovrebbero ricostituirsi come
piccole comunità di famiglie attorno a centri di spiritualità. Allora furono i
monasteri, grazie alla grande intuizione di San Benedetto da Norcia, nel nostro
secolo potrebbero essere singoli sacerdoti, santuari, comunità religiose,
movimenti laicali e ogni altro luogo dove poter vivere la fede come vera
esperienza di vita. Più o meno ciò che Rod Dreher delinea nella sua opera
Opzione Benedetto.
Il secondo scenario, invece, è quello dell’instaurazione di una vera e propria
dittatura violentemente anticristiana. In questo caso la reazione dovrebbe
essere quella del ricorso all’uso legittimo dell’insurrezione. Più o meno come è
accaduto in Messico con la cosiddetta “Guerra Cristera” o in Spagna con
l’intervento provvidenziale di Francisco Franco che ha liberato la penisola
iberica dalla persecuzione anarco-comunista contro i cristiani, salvando la
presenza della Chiesa cattolica in quella nazione. In questo periodo di
confinamento forzato mi è capitato di rileggere l’interessante documento
Firmissimam constantiam, con cui Pio XI, il 28 marzo 1937, interveniva sulla
situazione della Chiesa cattolica in Messico perseguitata dallo spietato governo
massonico di Plutarco Elías Calles. In quel testo, il pontefice intervenne,
infatti, a favore della liceità della lotta dei cittadini cattolici messicani
contro il «potere pubblico», che «ponendosi contro la giustizia e la verità, era
giunto al punto di distruggere le fondamenta stesse dell’autorità». È
interessante come, peraltro, una successiva indicazione in tal senso sia poi
giunta a distanza di quarant’anni, il 26 marzo 1967, con l’enciclica di Paolo VI
Populorum progressio, in cui quel pontefice legittimò l’insurrezione armata dei
cattolici contro «una tirannia evidente e prolungata che attenti gravemente ai
diritti fondamentali della persona e nuoccia in modo pericoloso al bene comune
del Paese» (P.P. n.31). Una dittatura che arrivasse a chiudere le chiese e
perseguitare i cristiani, come accadde in Messico e in Spagna negli anni ’30,
autorizzerebbe, quindi, l’uso legittimo della forza per abbattere la tirannia.
Il terzo scenario, forse il più probabile, è quello di una dittatura
tecnologica, quella che Aldous Huxley definì “senza lacrime”, basata su un
controllo ed una manipolazione orwelliana degli individui. Una dittatura solo
apparentemente più morbida delle dittature classiche ma in realtà molto più
pericolosa, perché non si accontenterebbe di sottrarci la vita ma pretenderebbe
di cambiare le nostre coscienze per sottrarci un bene ancora più prezioso:
l’anima. In questo caso mi pare che la reazione dei cristiani dovrebbe essere
quella mirabilmente descritta dal celebre dissidente ceco Vacláv Havel nella sua
opera Il potere dei senza potere. Havel in Cecoslovacchia sconfisse l’Impero del
Male della sua epoca, l’Unione sovietica comunista, senza lo spargimento di una
goccia di sangue. Fu lui, infatti, il padre di quella che venne poi definitiva
la “Rivoluzione di velluto”. Ci riuscì semplicemente continuando ad opporre la
verità alla menzogna. Noi sappiamo che la menzogna può vincere qualche
battaglia. A volte può anche sembrare che le stia vincendo tutte, e per molti
anni. Ma non potrà mai vincere la guerra contro la verità.
In questo scenario, l’atteggiamento dei cristiani dovrebbe essere quello
delineato da un altro dissidente cattolico amico di Havel e che portava il suo
stesso nome: Václav Benda. Fu lui a coniare il concetto che ritengo molto
interessante di “polis parallela”. Prima di spiegare di cosa si tratta, faccio
una piccola premessa sui tre livelli in cui dovrebbe articolarsi la “resistenza
cattolica”. Il primo livello è quello esistenziale dell’individuo, quella sfera
segreta della persona fatta di ideali, valori e principi a partire dalla fede
cristiana. Per cambiare il mondo occorre prima cambiare se stessi. C’è poi un
secondo livello che definirei “prepolitico”, in cui la persona si manifesta
attraverso i suoi comportamenti, la sua professionalità, la sua testimonianza,
il suo coraggio di opporre la verità alla menzogna. Vi è, infine un terzo
livello che possiamo, invece, definire “politico” in cui si instaura una vita
indipendente da un sistema di potere che non rappresenta più il popolo. Questa
vita indipendente si realizza attraverso vere e proprie strutture alternative,
ossia la “polis parallela” di Benda. Sono strutture di livello
organizzativo-istituzionale come ad esempio l’informazione parallela, l’economia
parallela, l’istruzione parallela. Una sorta di società nella società, che
richiama in qualche modo l’idea della Civitas Dei di Agostino: una città che
vive dentro la città degli uomini e non si identifica con la città degli uomini.
A me pare che quello della “polis parallela” di Václav Benda sia il modello cui
guardare e studiare per un’efficace “resistenza cattolica” contro il
totalitarismo post-moderno che si profila all’orizzonte.
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